
Negli ultimi anni, sempre più studenti universitari e delle scuole superiori si sono ritrovati a fare i conti con ansia, stress e altre forme di disagio interiore. Chiunque abbia condiviso le proprie giornate accademiche con coetanei può confermare come, oltre alle pressioni degli esami, si aggiungano preoccupazioni per il futuro lavorativo, problemi economici, tensioni familiari e gli strascichi psicologici lasciati da emergenze globali come la pandemia. Il fenomeno ha così assunto proporzioni tali da non poter più essere ignorato e ha spinto a riflettere sulle lacune del sistema sanitario e sulle strategie efficaci per offrire un aiuto accessibile a chi ne ha bisogno.
Osservando la situazione in Italia, emerge come il Paese investa il 9.6% del proprio PIL nella sanità, un dato leggermente inferiore alla media europea del 10.9% (World Health Organization, 2023). Se a prima vista questa percentuale potrebbe non apparire drammatica, occorre però considerare che, all’interno di quel 9.6%, soltanto il 3% viene destinato specificamente alla salute mentale, contro il 5.4% della media UE. In passato, la percentuale di spesa sanitaria complessiva dedicata alla salute mentale in Italia era ancora più bassa: nel 2010 si attestava intorno all’1.8% (Ministero della Salute, 2010), mostrando un lieve incremento negli ultimi anni. In termini comparativi, alcune nazioni come la Francia arrivano a spendere il 14.5%, la Germania l’11.3% e la Svezia il 10% (OECD, 2023). È una differenza enorme e suggerisce quanto la salute mentale in Italia, nonostante i progressi degli ultimi decenni, resti in posizione marginale nelle priorità di spesa. Lo scenario appare ancor più complesso se si tiene conto della prevalenza dei disturbi mentali. Nel 2020, il 17% della popolazione italiana ha dichiarato di soffrire di depressione, registrando una crescita significativa rispetto al 2019, quando il valore era appena del 4.2%. Inoltre, il 20.8% degli italiani ha riferito di avere disturbi d’ansia. Tali percentuali sono superiori a quelle di Paesi che pure si ritrovano a fronteggiare problemi simili: la depressione in Germania è al 10.7% e in Francia al 15.6%, mentre l’ansia in Germania è al 6.3% e in Francia al 18.5% (Fondazione Italia in Salute, 2021). Tutto ciò evidenzia una situazione in cui il bisogno di aiuto è cresciuto più in fretta della capacità di erogare servizi adeguati.
Un altro aspetto da considerare riguarda la forza lavoro nel settore. A livello nazionale, si contano circa 43.2 professionisti della salute mentale ogni 100.000 abitanti, un numero che non si discosta troppo dalla media europea di 44.8 (European Federation of Psychologists’ Associations, 2020). Ciò che rende l’Italia peculiare è la composizione di questa forza lavoro: il 55.05% è rappresentato da infermieri (contro il 25.2% dell’UE), il 14.76% da psichiatri (contro il 9.7% dell’UE), il 9.1% da psicologi (contro il 5.4% dell’UE) e il 15.5% da altre figure specializzate (rispetto al 3.2% della media europea). Se da un lato risulta positivo che ci siano più psicologi e psichiatri rispetto alla media UE, dall’altro questa presenza più elevata non sembra tradursi in un’adeguata capillarità sul territorio e nell’effettivo accesso ai servizi, dato che la maggior parte degli psicologi opera nel settore privato. Secondo i dati riportati da Zanichelli, il 67% degli psicologi lavora nel privato, il 16% nel settore pubblico e un altro 16% nel “no profit” (Da Rold, 2023). Ci sono intere aree del Paese dove trovare uno psicologo convenzionato è molto complicato, e i lunghi tempi di attesa possono scoraggiare chi ha un’urgenza di sostegno.
Un’indagine svolta tra studenti universitari, raccolta tramite storie Instagram e questionari condivisi sui social, rivela che la maggior parte dei rispondenti è composta da ragazze (63% donne, 33% uomini), con ragazzi che spesso iniziavano il questionario ma lo abbandonavano prima di completarlo. È plausibile ritenere che questa bassa partecipazione maschile sia dovuta in parte allo stigma, poiché i giovani di sesso maschile talvolta manifestano più resistenza nell’aprirsi su tematiche come l’ansia o la depressione. La fascia di età prevalente è risultata tra i 18 e i 24 anni, con circa il 71% di partecipanti di nazionalità italiana e il 29% straniera, mentre la maggior parte delle risposte è arrivata dal Nord Italia (84%). Da questo campione è emerso che l’86% riconosce l’importanza delle problematiche di salute mentale, tanto che l’81% dei partecipanti dichiara di dare alla salute mentale una priorità persino maggiore rispetto a quella fisica. Circa il 60% afferma di aver sperimentato un problema di salute mentale, ma soltanto il 66% di questi ha effettivamente cercato aiuto, spesso a causa del timore di essere giudicati o di non poterselo permettere economicamente. Non a caso, il 63% degli intervistati percepisce un forte stigma, mentre solo il 10% ha trovato efficaci i servizi online dedicati alla salute mentale.

L’esperienza diretta conferma che, tra chi studia al liceo o all’università, lo stigma e la vergogna di esplicitare il proprio disagio rappresentano uno dei maggiori ostacoli alla ricerca di aiuto. Alcuni influencer e personaggi noti hanno cercato di rompere il tabù, mostrando pubblicamente le proprie vulnerabilità. Fedez, ad esempio, ha più volte parlato in modo aperto di momenti difficili, portando al centro dell’attenzione dei media ciò che molti preferiscono nascondere. Un altro esempio viene dal podcast “Mille Pare” di Alessia Lanza, dove si discute delle esperienze reali di chi ha iniziato un percorso di psicoterapia e si sottolinea il disagio che nasce anche solo nel dover dire “vado dallo psicologo”. Il recente trend sui social, infatti, spinge più persone a condividere le proprie storie e a normalizzare il concetto di “disturbo” o “malessere psichico”. È innegabile che una così ampia divulgazione, da un lato, aumenti la percezione collettiva dell’esistenza di tali problemi (e a volte perfino il timore di “riconoscersi” in diagnosi forse sovrastimate), ma, dall’altro, consente di accrescere la consapevolezza e di porre pressione sulla politica affinché intervenga.
Da più parti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha parlato di una “nuova pandemia” di crisi legate alla salute mentale, evidenziando la necessità di interventi immediati e strutturati. Gli adulti della generazione passata, cresciuti in un periodo in cui l’attenzione verso la sfera psicologica era spesso ridotta al minimo e chi cercava supporto veniva considerato “fragile” o “matto”, possono faticare a comprendere fino in fondo la portata di questa emergenza. Non si tratta però di muovere accuse, bensì di riconoscere che le condizioni socioeconomiche e culturali di oggi, unite alla forte esposizione ai social media e a standard di performance sempre più elevati, hanno reso i disagi mentali molto più evidenti e forse più frequenti tra i giovani.
Per contribuire in modo concreto alla risoluzione di questi problemi, occorre agire su due assi strategici: il lato della domanda, cioè la promozione di campagne di sensibilizzazione e di riduzione dello stigma, e il lato dell’offerta, che riguarda il potenziamento dei servizi e il miglioramento dell’accessibilità economica.
Sul fronte della domanda, l’obiettivo è normalizzare l’idea che prendersi cura della propria mente sia un diritto, e non un lusso o un motivo di imbarazzo. Le campagne televisive possono fungere da cassa di risonanza per far capire alla popolazione che ansia e depressione non sono una colpa, ma disturbi che si possono affrontare grazie a figure professionali adeguate. I social media rappresentano uno strumento straordinario per diffondere messaggi positivi e creare reti di sostegno online, tramite hashtag dedicati e il coinvolgimento di influencer che abbiano un pubblico giovane.
Proprio la collaborazione con personaggi famosi, che raccontano esperienze vissute in prima persona o da persone vicine, consente di parlare delle sfumature della sofferenza psicologica con un linguaggio accessibile e vicino alla quotidianità dei ragazzi. Una sensibilizzazione di tipo “specifico per genere” potrebbe aiutare a superare alcuni ostacoli culturali. Gli uomini, spesso condizionati da stereotipi di forza e invulnerabilità, potrebbero sentirsi più a loro agio se i messaggi fossero veicolati come un percorso di “allenamento della mente”, magari collaborando con centri sportivi e atleti che si espongono su questi temi. Le donne, invece, potrebbero beneficiare di reti di supporto tra pari e di ambienti di condivisione dove l’empatia e l’ascolto siano al primo posto.
Dall’altro lato, occorre migliorare la disponibilità di servizi sul territorio. Un incremento delle assunzioni di psicologi nel sistema sanitario nazionale potrebbe consentire di ridurre le liste d’attesa, che spesso costringono chi sta male a rivolgersi al privato, con spese che non tutti riescono a sostenere. Parallelamente, sarebbe utile rafforzare i partenariati pubblico-privato, in modo che le strutture private possano essere accreditate e messe in condizione di offrire prestazioni calmierate a chi ha redditi medio-bassi. Un sistema di voucher potrebbe garantire a 100.000 pazienti con difficoltà economiche la possibilità di accedere a consulenze specialistiche, mentre incentivi fiscali e detrazioni per professionisti e centri che si convenzionano con il SSN renderebbero lo schema più capillare. In tal modo, si colmerebbe la distanza tra la presenza teorica di personale qualificato e la reale accessibilità per gli utenti. Alcune proposte puntano anche all’istituzione dello “psicologo di base”, una figura che, come il medico di famiglia, sia il primo punto di riferimento per chi avverte un disagio. È una soluzione già sperimentata all’estero con buoni risultati e che contribuirebbe a far percepire la cura della mente non come un privilegio per pochi, ma come un percorso che tutti possono intraprendere.
Per dare un’idea della sostenibilità economica di queste misure, è stato ipotizzato un costo di implementazione iniziale di 70 milioni di euro, basato su iniziative analoghe, a cui seguirebbero costi annuali ricorrenti di circa 314.5 milioni di euro, pari a circa il 5.5% del budget attualmente destinato alla salute mentale (World Bank, WHO, 2023). Con una strategia graduale, articolata in tre-cinque anni, e un eventuale sostegno finanziario dell’Unione Europea, tali cifre sarebbero affrontabili senza eccessive tensioni per il Servizio Sanitario Nazionale. Tra le principali fonti di finanziamento potrebbero figurare contributi statali aggiuntivi, una riallocazione mirata di risorse all’interno del budget sanitario e l’uso di fondi strutturali europei destinati alla coesione sociale e sanitaria. Si è stimato che solo 4.5 milioni di euro annui servirebbero a coprire le campagne anti-stigma (incluse iniziative in TV, social media e collaborazioni con influencer), mentre 310 milioni verrebbero destinati al rafforzamento dell’offerta (assunzione di psicologi, partenariati pubblico-privato, voucher). Diversi esperti del settore, interpellati in merito, ritengono che queste cifre siano effettivamente realistiche e che, per un sistema sanitario nazionale come quello italiano, un simile impegno economico potrebbe essere assorbito senza ricadute negative su altri settori. Del resto, in un contesto dove la spesa complessiva per la salute mentale rappresenta ancora una piccola frazione della spesa sanitaria totale, un aumento di qualche punto percentuale risulta più che giustificato di fronte alla portata del problema.
È essenziale ricordare che molte persone rinunciano a chiedere aiuto perché temono di non essere comprese, oppure hanno la sensazione di essere un “caso isolato” o, peggio ancora, di essere in torto per il solo fatto di provare determinati sintomi. La verità è che la salute mentale non fa distinzione di età, sesso o status economico, e lo stigma nasce spesso da un’erronea convinzione che esista una separazione netta tra “normalità” e “malattia”. Invece, il disagio psichico può toccare chiunque: studenti stressati dagli esami, lavoratori insoddisfatti, persone che affrontano difficoltà familiari o attraversano momenti di crisi. L’obiettivo di ogni iniziativa dovrebbe essere, in primo luogo, quello di far sentire le persone accolte e legittimate a vivere le proprie emozioni, anche quando queste assumono forme che fanno paura. Sensibilizzare i giovani significa far capire loro che chiedere aiuto non è un segno di debolezza, ma semmai di forza e maturità, oltre a essere un modo per tutelare il proprio equilibrio, così come ci si tutela con le visite periodiche dal medico di base. La politica, dal canto suo, non può più ignorare il problema o relegarlo a questione marginale. L’aumento esponenziale di testimonianze sui social media, la risonanza creata da personaggi pubblici e l’attenzione di organismi internazionali come l’OMS indicano tutti in modo chiaro che l’emergenza salute mentale esiste e va affrontata seriamente.
La speranza è che, in futuro, le nuove generazioni crescano in un contesto dove la cura della mente sia considerata parte integrante del benessere. Perché ciò accada, però, è necessario potenziare i servizi di ascolto nelle scuole, favorire la presenza di sportelli psicologici negli atenei e in generale abbattere le barriere di costo e di pregiudizio che ancora impediscono a tante persone di compiere il primo passo. L’Italia ha tutte le carte in regola per fare un salto di qualità su questo fronte, dal momento che vanta un’ottima tradizione di professionisti formati e un sistema sanitario universalistico, i cui principi di base prevedono che l’assistenza debba essere garantita a tutti. Occorre soltanto che le risorse disponibili vengano allocate in modo efficiente e che si comprenda che la salute mentale è a pieno titolo una priorità, non un lusso o una questione di nicchia.
Rimane fondamentale ricordare a chiunque stia attraversando un periodo buio che chiedere aiuto è un atto di coraggio. Se si avverte un disagio, esistono servizi di supporto a cui rivolgersi. Spesso basta parlare con il proprio medico di famiglia per avere un primo orientamento, oppure cercare informazioni presso la ASL di zona, dove si può usufruire di consulenze psicologiche a costi calmierati. Esistono anche linee telefoniche di emergenza, come Telefono Amico (199 284 284), il numero per le emergenze (112) e Samaritans Onlus (800 86 00 22). È possibile rivolgersi anche a diverse risorse online, come i portali psicologi-italia.it, psicologi-online.it o psy.it, che offrono informazioni utili e servizi di consulenza a distanza. Il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) dispone inoltre di una rete di professionisti pronti a intervenire, e molti di questi servizi possono essere ottenuti tramite prenotazioni standard, con costi ridotti o in regime di esenzione, a seconda delle situazioni personali, seppur con lunghe liste d’attesa. Prendersi cura della mente è importante tanto quanto fare una visita dal cardiologo o dall’ortopedico. Non dovrebbe esserci differenza tra prevenire un infarto e prevenire un crollo emotivo: in entrambi i casi, si parla di salvaguardare la qualità della vita e, talvolta, la vita stessa.
CERCARE AIUTO È UN SEGNO DI FORZA. Chiunque legga queste righe e si senta in difficoltà dovrebbe ricordare che esistono soluzioni e persone disposte ad ascoltare senza giudizio. Se da un lato è vero che la società sta vivendo un momento di transizione complesso, dall’altro va sottolineato come l’attenzione verso la salute mentale non sia mai stata così alta. Se ne parla pubblicamente, si moltiplicano le iniziative sociali e politiche, e l’idea di rivolgersi a uno psicologo o a un terapeuta inizia, lentamente, a uscire dalla nicchia del tabù. Nel frattempo, chi si sente sopraffatto non è solo e non deve affrontare il proprio problema in silenzio. Fare il primo passo verso la richiesta di supporto è un atto di responsabilità verso se stessi e spesso anche verso chi ci sta vicino. In quest’ottica, la speranza è che il futuro riservi più risorse, più comprensione e più coraggio a chiunque decida di intraprendere un percorso di cura della propria salute mentale.

Fonti:
Andrisano, F., et al. (2020). Mental health expenditure in the European Union: A systematic review of health systems in 27 EU countries. Journal of Mental Health Policy and Economics, 23(2), 83–96.
Consiglio Nazionale Ordine Psicologi. (2021). Statistiche sugli psicologi in Italia. https://www.psy.it/statistiche
Da Rold, C. (2023, August 4). I numeri delle professioni: psicologia. Aula di scienze. https://aulascienze.scuola.zanichelli.it/mondo-del-lavoro/i-numeri-delle-professioni-psicologia
D’Ugo, M., Rossi, L., & Bianchi, A. (2020). Gender differences in mental health help-seeking behavior in Italy. Journal of Psychological Research, 15(2), 123–135.
European Commission. (2023). Flash Eurobarometer 530: Mental Health. Retrieved from https://europa.eu/eurobarometer/surveys/detail/3032
European Federation of Psychologists’ Associations. (2020). EuroPsy: European certificate in psychology. https://efpa.eu/europsy
European Federation of Psychologists’ Associations. (2020). Report on mental health workforce in Europe.
Eurostat. (2024). Healthcare expenditure statistics. https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=Healthcare_expenditure_statistics
Fondazione Italia in Salute. (2021). La salute mentale degli italiani durante il COVID-19. https://www.fondazioneitaliainsalute.org
Fondazione Italia in Salute. (2021). Stato della salute mentale in Italia.
Istituto Nazionale di Statistica. (2021). Aspetti della vita quotidiana. https://www.istat.it/it/archivio/17968
Italian Ministry of Health. (2023). Piano Nazionale della Prevenzione 2020–2025. http://www.salute.gov.it/
Lanza, A. (Host). (2022). Mille pare [Audio podcast]. https://www.milleparepodcast.it
OECD. (2023). Health at a Glance: Europe 2023. https://doi.org/10.1787/health_glance_eur-2023-en
OECD, & European Observatory on Health Systems and Policies. (2023). Italy: Country health profile 2023. https://oecdcode.org/disclaimers/cyprus.html
Organisation for Economic Co-operation and Development. (2020). Health at a Glance: Europe 2020. https://doi.org/10.1787/health_glance_eur-2020-en
Survey “Mental Health in Italy.” (n.d.). Retrieved from Survey 2024_Excel File
The European House – Ambrosetti. (2022). Headway – Mental Health Index 2.0. Retrieved from https://eventi.ambrosetti.eu/headway/documenti/report-headway-mental-health-index-2-0/
United Nations. (2020). Policy brief: COVID-19 and the need for action on mental health. https://www.un.org/sites/un2.un.org/files/un_policy_brief-covid_and_mental_health_final.pdf
WHO Regional Office for Europe. (2023). European health information gateway: Mental health. https://gateway.euro.who.int/en/themes/mental-health/
WHO Regional Office for Europe. (2023). European health report 2023: Investing in health.
World Bank. (2024). World development indicators: Italy. https://data.worldbank.org/country/italy
World Bank & World Health Organization. (2023). Global health expenditure database.
World Health Organization. (2018). Mental health: Strengthening our response. https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/mental-health-strengthening-our-response
World Health Organization. (2021). Mental Health Atlas 2020. World Health Organization. https://www.who.int/publications/i/item/9789240036703
World Health Organization. (2022). Mental health and COVID-19. https://www.who.int/teams/mental-health-and-substance-use/covid-19
Lascia un commento